Sesta battaglia dell'Isonzo

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Sesta battaglia dell'Isonzo
parte del fronte italiano della prima guerra mondiale
Posizione del fronte prima e dopo la battaglia
Data4-17 agosto 1916
LuogoGorizia, Italia
EsitoVittoria italiana
Modifiche territorialiAnnesione di Gorizia da parte dell'Italia
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
22 divisioni9 divisioni
Perdite
51.000 (21.000 morti circa)40.000 (9.000 morti circa)
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La sesta battaglia dell'Isonzo, chiamata anche battaglia di Gorizia[1], fu combattuta dal 4 al 17 agosto 1916 tra l'esercito italiano e quello austroungarico, nel corso della prima guerra mondiale.

Contesto strategico

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Il secondo anno di guerra sul fronte italiano si aprì con la necessità degli austro-ungarici di invertire la tendenza delle operazioni. La resistenza offerta contro gli attacchi italiani avevano da un lato fatto naufragare i piani di guerra di Luigi Cadorna e annullato le speranze del capo di stato maggiore del Regio Esercito di sfondare nel settore meridionale dell'Isonzo, dall'altro lato però i costi materiali e umani per l'esercito austro-ungarico diventavano sempre più critici[2]. Parallelamente l'esercito italiano continuava ad accrescere la propria dotazione di armamenti e a imparare dagli errori commessi, mentre cingeva da vicino il campo trincerato di Gorizia dalle linee Oslavia-Sabotino e monte San Michele-San Martino del Carso[2]. Durante il primo anno di guerra i rovesci sul fronte balcanico e su quello russo furono tali che l'Imperiale e regio esercito (Kaiserlich und königlich) perse circa 3,2 milioni di uomini, e ciò si rifletté con una cronica mancanza di rimpiazzi sul fronte italiano. Nel marzo 1916 nuove reclute e feriti risanati permisero di riportare l'organico a circa 2,3 milioni di uomini con 900 mila combattenti, e la conquista del Montenegro nel gennaio 1916 da parte della 3ª Armata di Hermann Kövess permise al capo di stato maggiore Franz Conrad von Hötzendorf di sferrare un'offensiva in Italia senza dover chiedere l'aiuto tedesco[3]. Sul fronte russo la situazione rimase tranquilla e la 7ª Armata di Karl von Pflanzer-Baltin era riuscita a contenere alcune offensive russe nel settore meridionale. Tutti questi fattori fecero propendere Conrad alla decisione di disimpegnare alcune delle sue migliori divisioni dal fronte orientale per impegnarle su quello italiano nel tentativo di sferrare un colpo che potesse mettere la parola fine alla guerra sul fronte italiano. Il suo piano prevedeva che due armate su quattordici divisioni attaccassero il saliente del Tirolo spingendosi a sud e a est in direzione di Venezia, nel tentativo di isolare il grosso dell'esercito italiano schierato sul basso Isonzo lasciando indifeso il resto del nord Italia[3].

Conrad raggruppò in Trentino due armate: l'11ª e la 3ª, destinate ad aver ragione della resistenza italiane e poi a sfruttare il successo in pianura, richiedendo il trasferimento di quattro divisioni della 5ª Armata di Svetozar Borojević von Bojna per rafforzare le truppe attaccanti. Di fronte ai segnali di pericolo che andavano addensandosi, Cadorna ebbe sempre un profondo scetticismo nei confronti di un'offensiva nemica, e pur visitando il fronte della 1ª Armata di Roberto Brusati, richiamandolo sulla necessità di allestire una seconda e terza linea difensiva, previste, ma di fatto esistenti solo sulla carta, il capo di stato maggiore non credeva ad una offensiva di grande portata in quel settore[4]. Ma Cadorna sottovalutò i comandi austro-ungarici, i quali il 15 maggio 1916 scatenarono l'offensiva sul Trentino che le fonti italiane avrebbero poi indicato come Strafexpedition ("Spedizione punitiva")[5]. Con una imponente preparazione di artiglieria e un tiro perfettamente inquadrato contro le linee italiane, gli austroungarici sfondarono le linee italiane prima sull'altopiano dei Fiorentini e in Val d'Astico, e quindi sull'altopiano dei Sette Comuni. La progressione dell'avanzata per poco non riuscì a far crollare l'esercito italiano, ma le forze di Guglielmo Pecori Giraldi, subentrato a Brusati per volere di Cadorna, arrestarono gli austroungarici sugli ultimi rilievi prima della pianura, ossia il monte Giove a ovest della Val d'Astico e sul monte Zovetto e il monte Lemerle a est. Nel frattempo a ulteriore rinforzo delle forze italiane impegnate in Trentino, venne creata la 5ª Armata, utilizzando le unità a riposo dal fronte del Carso, in modo tale da non indebolire il fronte sull'Isonzo[6][7].

Agli inizi di giugno la resistenza italiana e poco dopo, anche l'offensiva russa, ebbero immediati contraccolpi sul quadro strategico europeo e soprattutto per l'Austria-Ungheria. La perdita di quasi mezzo milione di uomini appesantì la situazione austriaca, alleggerendo di contro quella italiana che comunque era già stata stabilizzata dai suoi fanti. Alla fine del giugno 1916 le operazioni sull'altopiano di Asiago, con un contrattacco italiano che portò alla riconquista di metà dei territori perduti nell'iniziale successo dell'offensiva austroungarica, Cadorna sospese le operazioni e riprese ad ammassare uomini e mezzi sul fronte dell'Isonzo, in vista di una nuova offensiva. Il 12 giugno Antonio Salandra, che meditava di sostituire Cadorna (il quale con i rovesci iniziali in Trentino perse molto del suo prestigio anche dinanzi agli interventisti[8]), si dimise, dopo essere caduto il 10 giugno su una votazione di fiducia e il 18 giugno gli era succeduto il governo di unità nazionale presieduto dall'anziano Paolo Boselli[9]. D'altronde un esonero di Cadorna avrebbe rappresentato un salto nel buio dato, poiché pochi dei suoi generali erano abbastanza conosciuti all'opinione pubblica interna ed estera. La vittoria di Gorizia avrebbe invece rialzato il prestigio del "generalissimo"[10][N 1].

La situazione del Regio Esercito

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La preparazione finale per l'assalto lungo l'Isonzo avvenne da metà giugno, ma l'attacco austriaco in Trentino aveva ridotto la disponibilità di uomini e mezzi disponibili per il Regio Esercito, così Cadorna decise di accorciare il fronte d'attacco per mantenere un'alta concentrazione di fuoco contro le linee nemiche e aprire varchi nei reticolati[11]. Si sarebbe trattato di un'offensiva basata sulla sorpresa da realizzare con un rapido trasporto di uomini dal settore fra Adige e Brenta e facendo arrivare all'ultimo momento l'artiglieria necessaria all'attacco nascondendone il trasferimento al nemico. L'obiettivo era quello di sfruttare il temporaneo squilibrio strategico austro-ungarico per togliere all'avversario la possibilità di accedere alla pianura friulana conquistando il Sabotino e le alture di Oslavia, con azioni secondarie tra il Grafenberg e il Podgora, ed ancora a Plava e sul San Michele[12].

Il 17 giugno venne diramata una circolare che fissava sulla carta gli insegnamenti tratti dalla cosiddetta Strafexpedition, che su come affrontare la violenta preparazione d'artiglieria nemica e le infiltrazioni di grosse pattuglie agevolate dalla copertura dei boschi. Cadorna prima di tutto si concentrò sulla coesione dei reparti, sottolineando l'importanza della disciplina e raccomandando di evitare la creazione di raggruppamenti tattici occasionali ma di creare unità con elementi coesi e affiatati. Nella difensiva veniva altresì raccomandato di definire le dipendenza tattiche dell'artiglieria, per poterne concentrare il tiro là dove sia necessario senza attendere l'autorizzazione di comandi troppo lontani, per poi tramutare l'azione difensiva passiva con una difesa attiva con contrattacchi immediati[13]. Alla circolare di giugno venne affiancata una circolare di luglio che metteva l'accento sull'importanza della sorpresa, condizione essenziale per il successo, raccomandando di non importare l'azione su schemi ripetitivi. Le successive prescrizioni trattavano altri punti fondamentali come l'importanza di un attacco attentamente preparato da iniziare il più vicino possibile alle linee avversarie, culminante con l'improvviso e violento intervento dell'artiglieria chiamata a squarciare i reticolati e neutralizzare gli elementi attivi della difesa avversaria, a cui sarebbe seguito l'intervento scaglionato della fanteria[14].

Queste direttive seguivano quelle emanate ad aprile dedicate specificatamente all'artiglieria, nelle quali per la prima volta gli obiettivi da battere venivano ripartiti tra bocche da fuoco in base al calibro e alla traiettoria, e si parlava della manovra di fuoco facendo convergere le traiettorie su determinati obiettivi, e si distingueva l'azione di accompagnamento dell'artiglieria da montagna, dall'azione di controbatteria e dal fuoco di sbarramento, diretto a contrastare i contrattacchi[15]. Con queste direttive si era cercato dunque di aumentare la scarsa efficacia del fuoco razionalizzandone la distribuzione su obiettivi prescelti e verificandone il risultato attraverso l'aumento dell'attività degli osservatori, già dall'inizio della guerra inferiori per posizionamento, strumentazione ed efficacia.

L'accumulo di uomini e mezzi avvenne secondo i tempi prestabiliti, anche grazie agli sforzi dell'intelligence che mascherò l'arrivo degli uomini, e di un grande sforzo logistico che permise un grande spostamento di uomini e mezzi. La 5ª Armata creata in precedenza venne sciolta[16], e tre divisioni e 20 batterie si spostarono tra giugno e luglio, e 80 batterie e due corpi d'armata le seguirono dal 17 luglio al 5 agosto, mentre dopo il 6 agosto arrivarono 4 divisioni e 2 brigate e una divisione di cavalleria[12]. In totale furono spostati in Friuli circa 300 000 uomini, 60 000 quadrupedi, 10 000 carri; corrispondenti a 11 divisioni, 2 brigate e un reggimento di fanteria, 2 brigate e una divisione di cavalleria, 157 batterie d'artiglieria e 37 di bombarde[17]. La 3ª Armata del Duca d'Aosta, forte ora di ben sedici divisioni e 1250 cannoni e 770 mortai e schierata dal Sabotino all'Adriatico avrebbe sostenuto l'attacco principale, mentre la 2ª Armata di Settimio Piacentini venne relegata ad un ruolo di appoggio sull'alto Isonzo[16].

Dopo l'esperienza sugli Altipiani dove le truppe italiane in più occasioni crollarono di fronte al nemico[N 2], lo scontro si sarebbe svolto con gli italiani che avrebbero tentato di mantenere il pieno controllo dell'offensiva con ogni mezzo a loro disposizione, per evitare appunto un nuovo crollo morale come avvenuto con la Strafexpedition. Questa volta si sarebbe tentato di «scuotere potentemente l'avversario» con l'utilizzo poderoso dell'artiglieria come questi aveva fatto in precedenza, in modo tale da sfruttare la sorpresa e l'impeto per garantirsi il successo[12]. Cadorna riteneva che l'ora del successo fosse ormai vicina, incoraggiato dalla grande massa di uomini e artiglierie a disposizione, e come ebbe di spiegare al Duca d'Aosta, secondo lui la chiave della vittoria sarebbe stata «il mettere insieme un'imponente massa di artiglieria di tutti i calibri su un fronte il più possibile ristretto»[18].

La situazione dell'esercito austro-ungarico

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Quando l'offensiva Brusilov del 4 giugno ebbe inizio, gli austro-tedeschi si trovarono in inferiorità numerica, dato che il capo di stato maggiore dell'esercito tedesco Erich von Falkenhayn in primavera aveva prelevato diciotto divisioni dal fronte orientale per inviarle a Verdun, e Conrad quattro per inviarle in Tirolo. Preoccupati soprattutto dell'esito dell'offensiva in Italia, i comandi austro-ungarici sottovalutarono i rapporti che arrivavano dal fronte orientale e non si aspettavano un'offensiva russa dopo il rovescio subito ad aprile dall'esercito dello zar sul Lago Narač. L'attacco russo si concentrò soprattutto contro il fronte tenuto dalle armate di Conrad, e quest'ultimo dovette interrompere l'offensiva in Italia per inviare truppe a est: otto divisioni e il quartier generale della 3ª Armata di Kövess[19].

Sebbene sia l'offensiva di Falkenhayn a Verdun sia quella tirolese di Conrad contribuirono alla pari a rilanciare le chance dei russi sul fronte orientale, fu quasi esclusivamente Conrad ad essere oggetto di critiche, tanto che sia Francesco Giuseppe, sia l'arciduca Federico, capo nominale dell'Aok (Armeeoberkommando), avevano espresso molti dubbi sulla sua offensiva in Italia. Conrad ancora il 1º giugno assicurò l'imperatore la tenuta del fronte orientale, ma quando poi le truppe di Brusilov misero in grossa difficoltà l'esercito austro-ungarico, la dirigenza politica dell'Austria-Ungheria perse così tanto fiducia in Conrad da giungere a fidarsi di più dei tedeschi. Il 18 luglio Paul von Hindenburg e l'Ober Ost assunsero il comando delle truppe austroungariche a nord di Leopoli, mentre all'arciduca Carlo I fu assegnato il comando delle truppe a sud di Leopoli, con il generale tedesco Hans von Seeckt come suo stato maggiore; compromesso che di fatto rendeva il generale tedesco capo del settore. Conrad non poté opporsi all'umiliazione, e benché mantenne la carica di capo di stato maggiore, non ebbe più voce in capitolo riguardo le strategie imperiali[20], mentre l'esercito austro-ungarico si avviava a cessare di essere una potenza militare autonoma a favore della Germania che assumeva sempre di più il controllo delle forze alleate.[21]. Quando scattò la sesta offensiva italiana sull'Isonzo, la 5ª Armata di Borojević era dunque ridotta ad un organico di sole nove divisioni, a fronte delle ventidue che Cadorna stava per lanciare all'attacco[22]. Le dotazioni di artiglierie e mitragliatrici per gli austroungarici erano ai minimi termini, i materiali persi in giugno vennero ripristinati solo in dicembre[23].

Prima dell'offensiva italiana, per districarsi da un quadro strategico sempre più complicato, gli austro-ungarici decisero di compiere un'azione lungo l'Isonzo, dove dalle parti del San Michele la loro situazione era preoccupante. Vollero quindi migliorare la situazione delle truppe tra Vipacco e Bosco Cappuccio, e nel ricercare mezzi adatti per determinare un "effetto morale" tra gli avversari, decisero per l'utilizzo dei gas. Nonostante i grossi effetti ottenuti dal gas durante l'attacco sul San Michele, la relazione ufficiale austro-ungarica riconobbe che molti soldati italiani combatterono a lungo prima di morire per l'effetto dei gas. Ai primi di luglio i Landsturm fermarono una fiammata offensiva italiana nei pressi di Monfalcone, e in quei giorni il servizio informazioni austro-ungarico, l'Evidenzbureau, ebbe il sentore che Cadorna stesse per attaccare verso Gorizia. Una divisione di Schützen fu dislocata in riserva sul Carso, ma allo stesso tempo, per le enormi perdite dovute all'offensiva russa, si bloccò per la prima volta l'espansione numerica dell'esercito imperiale, e le forze in prima linea scesero da 1 158 000 a 927 000[24].

Gli efficienti servizi segreti di Borojević registrarono intensi movimenti ferroviari verso l'Isonzo, mentre gli addetti radio riferirono di un impressionante aumento di comunicazioni che indicavano l'approssimarsi di una offensiva italiana. A dispetto di questi segnali Borojević e il suo staff credettero che l'esercito italiano si stesse preparando per un'offensiva a metà agosto ma che Cadorna non fosse in grado di sferrare una grande offensiva, ma si sarebbe limitato ad una replica della breve e debole Quinta battaglia. La 5ª Armata austro-ungarica versava in precarie condizioni: la campagna in Tirolo e l'attacco russo in Galizia avevano distolto importanti uomini e mezzi, tanto che ad inizio agosto l'armata contava appena otto divisioni con solo 106 battaglioni, 584 cannoni e 333 mortai. Sulla carta le sue forze erano circa la metà di quelle schierate dagli italiani. L'armata rappresentava ancora una forza imponente in possesso di posizioni eccellenti, ma scarseggiava di equipaggiamento, pezzi d'artiglieria, riserve di granate e soprattutto uomini[25].

Operazioni sul Carso nel giugno 1916

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Caduti italiani dopo il primo attacco condotto con i gas asfissianti sul fronte italiano

Cessati definitivamente i combattimenti in Trentino, a cominciare dalla seconda settimana di giugno le ricognizioni italiane divennero più ampie e aggressive. La 3ª Armata sferrò un circoscritto ma potente attacco sul fianco meridionale del Carso, dove, dopo un pesante bombardamento, due divisioni italiane avanzarono di notte verso le trincee occupate dalla 106ª Divisione austro-ungarica sul monte Sei Busi. La battaglia si protrasse per tre giorni e si concluse con una vittoria simbolica degli austriaci, che riuscirono a tenere le posizioni ma persero oltre 1400 uomini. Gli italiani ebbero perdite ancora superiori, ma ciò non impedì alla 3ª Armata di proseguire gli attacchi nella zona meridionale del Carso, dove i combattimenti, alla fine inconcludenti, si trascinarono fino alla prima settimana di luglio e costarono altre 4700 perdite alla 106ª Divisione[26].

Per cercare di uscire da un quadro strategico critico, gli austroungarici decisero di intraprendere alcune azioni lungo l'Isonzo, soprattutto nel preoccupante settore del monte San Michele. Borojević riteneva che le operazioni in Trentino avessero distolto l'attenzione degli italiani abbastanza da potere consentire al VII Corpo di recuperare alcune posizioni perse nelle battaglie precedenti, in particolare attorno al San Michele e a San Martino, nello specifico tra il Vipacco e Bosco Cappuccio, e a nord dell'abitato di San Martino[27]. Queste posizioni erano una preoccupazione costante per la 5ª Armata di Borojević, che temeva potessero diventare delle basi avanzate che avrebbero permesso agli italiani di conquistare il San Michele; così Boroević ordinò un attacco a livello divisionale per riconquistare il monte prima che Cadorna fosse in condizione di riprendere l'offensiva[26].

Sebbene si tratti di un attacco minore dal punto di vista delle forze impegnate, rimane nelle cronache come il primo con l'ausilio di gas effettuato sul fronte italiano. Contrariamente a quanto accadeva sul fronte occidentale, sul fronte dell'Isonzo il gas tossico non era ancora stato impiegato da nessuna delle due parti[26]. Alle 5:15 del mattino del 29 giugno 1916 contro le posizioni italiane sul San Michele venne lanciato un attacco coi gas, il quale giunse inaspettato e colse di sorpresa le truppe italiane. Favorito dall'estrema vicinanza tra le due linee di trincee, che distavano anche meno di 50 metri, la nube giunse quasi immediatamente sulle posizioni italiane della 21ª e 22ª Divisione del XI Corpo d'Armata, le cui vedette non fecero in tempo a lanciare l'allarme. Molti soldati non ebbero neppure il tempo di indossare le maschere antigas, altri si ripararono nei ricoveri che ben presto divennero camere a gas mentre altri scesero dalle pendici del monte senza sapere che la nube sarebbe andata a ristagnare verso il basso[28]. Le perdite subite nelle prime ore furono enormi, calcolate in circa 8 000 soldati, ma il seguente contrattacco dei superstiti riconquistò le posizioni perdute e causò 1500 perdite fra gli austroungarici. Per l'attacco vennero messe in posizione circa 6 000 bombole di cloro e fosgene; la nube dopo circa un'ora scivolò dalle pendici del San Michele, superò l'Isonzo raggiungendo Sdraussina e i sobborghi di Gradisca. I prigionieri italiani raccontarono che l'attacco col gas non era affatto atteso e che molti di essi, soprattutto nelle linee arretrate, non avevano neppure la maschera antigas in dotazione, mentre molte di quelle in dotazione erano di vecchio tipo e poco funzionali. L'attacco austroungarico fallì per la rapida reazione italiana, per il tempestivo intervento dell'artiglieria e per la resistenza nelle trincee sommerse dai gas dove molti italiani continuarono a combattere[29]. Anche la relazione austriaca, pur accennando ai notevoli effetti morali dell'attacco, riconobbe che molti italiani combatterono «ancora a lungo» prima di morire a causa del gas[27].

L'utilizzo dell'arma chimica, e la visione di migliaia di commilitoni agonizzanti, fornì ai reparti italiani una motivazione particolare negli scontri successivi. Dopo l'attacco con i gas i soldati dell'esercito austroungarico che volevano darsi prigionieri dovettero farlo in gruppi consistenti, altrimenti venivano immediatamente passati per le armi[30][N 3]

Il piano di battaglia

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Il 27 giugno 1916 il comando della 3ª Armata espose al Comando Supremo un progetto d'attacco che prevedeva un'azione principale con obiettivo il monte Sabotino, le alture di Oslavia e la sponda destra dell'Isonzo; un'azione secondaria dal Grafenberg al Podgora, con azione di collegamento tra Oslavia e il Grafenberg; infine delle azioni secondarie a Plava e sul San Michele. L'attacco delle fanteria sarebbe stato preceduto da una violenta azione d'artiglieria e bombarde nelle zone d'irruzione prestabilite, con cui aprire i varchi necessari alla fanteria e sconvolgere le prime linee nemiche. Il 9 luglio il Comando Supremo incluse al piano un'azione dimostrativa da eseguire sull'ala destra con il VII Corpo due giorni prima di quella principale, infine stabilì il 6 agosto come data per l'inizio di quest'ultima[31].

Il progetto assunse quindi la seguente fisionomia:

  • Azione principale condotta dal VI Corpo (Luigi Capello) sull'ala sinistra della 3ª Armata, verso la testa di ponte di Gorizia.
  • Azione secondaria condotta dal XI Corpo (Giorgio Cigliana) nel settore centro-sinistra, verso la linea San Michele-San Martino.
  • Azione dimostrativa dell'ala destra condotta dal VII Corpo (Vincenzo Garioni) nel settore di Monfalcone.
  • Azione di sola artiglieria condotta sul fronte della 2ª Armata[31].

Svolgimento della operazioni

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Prima fase: 4-9 agosto 1916

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Il 6 agosto Cadorna si sentì pronto a iniziare la sesta offensiva sull'Isonzo e, per una volta, i risultati superarono le sue aspettative: con una superiorità schiacciante in fatto di bocche da fuoco, all'alba l'artiglieria italiana eseguì un breve e violento bombardamento preparatorio, poi quello stesso pomeriggio i fanti scattarono dalle loro trincee di avvicinamento, a cinquanta o anche solo dieci metri dalle linee nemiche, portando sulla schiena grossi dischi bianchi per consentire alla loro artiglieria di coordinare il tiro con i loro spostamenti; le truppe del generale Luigi Capello conquistarono la vetta del Sabotino in appena 38 minuti, il primo chiaro successo italiano dalla conquista del Monte Nero nel giugno 1915[32].

L'attacco a Podgora, Oslavia e Sabotino

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Il 6 agosto 1916, alle ore 7, ebbe inizio il tiro delle artiglierie italiane da Tolmino al mare. Sul Sabotino una colonna comandata dal colonnello Pietro Badoglio (cinque battaglioni), grazie a un dedalo di gallerie scavate nella roccia quasi a contatto delle posizioni nemiche, riuscì a espugnarne la vetta[33] e a sorpassarla scendendo sulla sponda destra dell'Isonzo sul costone/forcella di San Mauro (Šmaver, mt 507).

Sul basso Sabotino, invece, gli austroungarici resistettero agli sforzi di un'altra colonna italiana, comandata dal generale Gagliani, il quale rimase ferito e dovette cedere il comando al generale De Bono; la quota 188 (presso Lenzuolo Bianco) e la sommità del vicino Podgora rimasero in mano agli austroungarici. Oslavia e la sommità del Calvario (q. 184 noto come Podgora) invece vennero raggiunte e sorpassate dagli italiani. Nella notte gli austroungarici contrattaccarono violentemente ottenendo qualche vantaggio a Oslavia e al Graffemberg (Contado) per poi venire respinti sia sul Sabotino sia sul Calvario.

Il mattino del 7 agosto rivampò la battaglia, grazie anche a rinforzi sopraggiunti in aiuto agli austroungarici. L'esercito italiano conquistò la Quota 188 e il Dosso del Bosniaco (collocate tra Oslavia e Lenzuolo Bianco) e le trincee della Valle Piumizza (alle pendici a sud del Sabotino). In serata si registrarono resistenze austroungariche ancora sul Podgora, ma la stessa notte il Comando austroungarico ordinò la ritirata sulla sponda sinistra dell'Isonzo.

L'attacco sul Carso

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Sul Carso, intanto, il giorno 6 agosto, le difese austriache del San Michele erano state sconvolte da un fuoco di artiglieria quale mai si era visto prima, e a sera la 21ª e 22ª divisione italiana potevano conquistare tutte e quattro le cime del San Michele e respingere i forti contrattacchi avversari. Le Cime Uno e Due furono raggiunte dalla Brigata Catanzaro, la Tre e la Quattro dalla Brescia e dalla Ferrara. La Brigata Regina, invece, travolse le difese austro-ungariche nella zona di San Martino del Carso (frazione di Sagrado) che venne conquistato dagli italiani. Nel medesimo giorno, le Brigate Chieti e Sassari attaccarono nella zona di Doberdò del lago. Nonostante la forte resistenza offerta, le truppe austroungariche furono quasi circondate e si ritirarono. Così anche Doberdò e la parte più occidentale del Carso furono occupate dagli italiani senza però riuscire a occupare lo strategico obiettivo di Duino, vitale per prendere il controllo della strada verso Trieste.

L'entrata a Gorizia

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I primi a entrare a Gorizia, l'8 agosto 1916, furono i fanti del 28º fanteria "Pavia", comandati dal sottotenente Aurelio Baruzzi, medaglia d'oro al valore militare. La brigata Pavia faceva parte della dodicesima divisione comandata dal generale Fortunato Marazzi, che per questa vittoria e altri meriti di guerra fu insignito della Croce di Savoia.

Austroungarici in rotta?

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Il fronte italo-austriaco era ormai molto vicino a Trieste. Allora gli austro-ungarici, invece di tentare una controffensiva, in cui molto probabilmente avrebbero perso, decisero di arretrare di alcune centinaia di metri per riorganizzare l'esercito, costruire nuove trincee e nuove opere difensive.

Un nuovo successo italiano si ebbe in seguito nel settore del Sabotino: nella decima offensiva si ampliò la testa di ponte di Plava con la conquista di quota 383 del Kuk, Vodice e Zagora, Zagomilla. Nell'undicesima offensiva il XXIV Corpo d'Armata al comando del generale Enrico Caviglia sbaragliò gli austriaci sulla Bainsizza su un fronte largo 15 km e per la profondità di 12 Km.

Seconda fase: 10-17 agosto 1916

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La cavalleria italiana entra a Gorizia dopo la battaglia

Attacchi a nord e a est di Gorizia

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Le difese austroungariche a nord e a est di Gorizia comprendevano una serie ininterrotta di alture che coronavano la città e la proteggevano. Tra tali alture vi erano la dorsale dal Monte Santo, il San Gabriele, il San Daniele, e le alture minori di Santa Caterina, di Tivoli e di Monte San Marco, con il retrostante bosco di Panovizza. La dorsale quota 383 (Prižnica) - Monte Cucco di Plava - Monte Santo - San Gabriele - San Daniele, si prestava egregiamente invece a celare le artiglierie austroungariche a sua volta servite da ottimi osservatori; dopo la caduta di Gorizia tali alture, sapientemente apprestate a difesa, valsero a sbarrare il passo verso est alle truppe italiane[34].

Nell'agosto del 1916[35], uscendo dai sobborghi della città di Gorizia appena conquistata e dirigendosi alla sua immediata periferia est, i fanti italiani si avvicinarono al bosco Panovizza. Tale quota boscosa, dove si occultava la scacchiera del nuovo sistema difensivo austroungarico, assieme all'allora cimitero di Gorizia (ora centro della città di Nova Gorica) con il suo viale alberato e le mura del convento francescano di Castagnavizza, furono tre riferimenti visivi fondamentali per i fanti chiamati all'avanguardia allo scopo di aprire i varchi alla nuova avanzata italiana verso est. Una volta conquistata la quota del convento il 10 agosto 1916 il 223º Reggimento della brigata Etna iniziò l'esplorazione delle prime balze del Panovizza; i colpi dei tiratori scelti delle truppe austroungariche, nascoste dal folto del bosco di castagni, causarono uno stillicidio di perdite da parte italiana che proseguì fino all'incontro con i reticolati che preannunciavano lo sbarramento difensivo tra le quote 165 e 174 ovest (Rafut). Il 12 agosto, dopo una preparazione d'artiglieria resa più difficile dallo sbarramento visivo delle fronde che si stavano caricando di ricci verdi, i fanti della brigata Etna riuscirono a fare tacere i nidi di mitragliatrice austroungarici tra le quote 165 e 174 ovest, dilagando nella trincea avversaria e poi nei camminamenti che la collegavano alla linea retrostante; grazie allo schermo della boscaglia, le truppe austroungariche passarono però poi al contrattacco, fissando alle sopraccitate quote la massima avanzata dell'offensiva italiana.

Stele al Nad Logem

Il 14 agosto la 2ª Armata, dalla quale dipendeva il II Gruppo aereo (poi 2º Gruppo), riprese invece le operazioni per la conquista della cintura montana di Gorizia, dal Monte Cucco di Plava al Monte San Marco, ma quattro giorni di combattimenti accaniti non gli diede che piccoli vantaggi locali. Il giorno 17, quindi, le operazioni vennero sospese.

Altri attacchi sul Carso

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Nella notte del 10 agosto 1916 le truppe austroungariche, vista la precarietà della loro situazione dopo la perdita del San Michele e di Gorizia, abbandonarono tutta la parte dell'altopiano carsico a ovest del Vallone, ritirandosi sopra una linea a est di questo, passante per il Nad Logem (Sopra Bosco/quota 212), la quota 187 (vicino all'attuale valico secondario di confine "Devetachi"), Opacchiasella, Novavilla e le quote 208 nord e sud[36], 144 (Arupacupa) e 77 (Sàblici)[34].

Le truppe italiane le seguirono rapidamente e nella giornata dell'11 agosto passarono il Vallone, riprendendo contatto con l'avversario.

Il mattino del 12 agosto le truppe italiane passarono all'attacco sul Carso e la 23ª Divisione si impadronì di Sopra Bosco/quota 212, mentre la Brigata Regina entrava nell'abitato di Opacchiasella.
Parallelamente le truppe del XI Corpo d'Armata e quelle del XIII si impegnarono contro le postazioni nemiche sul Monte Lupo, del Pecinca, del Colle Grande e di Novavilla ma non riuscirono a trionfare sulla già salda organizzazione difensiva austroungarica

Analisi e conseguenze

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La sesta battaglia dell'Isonzo ebbe conseguenze importanti per l'andamento dei fatti sul Fronte dell'Isonzo e in generale per l'andamento dei fatti su tutto il Fronte italiano almeno fino alla battaglia di Caporetto l'anno seguente. Per gli italiani la conquista di Gorizia significò un orgoglio enorme in quanto la città era da sempre uno degli obbiettivi più ambiti dagli irredentisti fin dalla fine dell'Ottocento e soprattutto perché la conquista della città avrebbe spalancato le porte alla conquista della ben più importante Trieste a sud, cosa che non avverrà fino all'armistizio di Villa Giusti il 3 novembre 1918. La conquista di Gorizia fu per molti italiani una conquista a metà per colpa dell'altissimo numero di morti e questo ispirò il canto pacifista e antimilitarista O Gorizia tu sei maledetta. Gli austriaci, dal canto loro, persero terreno e, temendo per le sorti della guerra, chiesero aiuto alla Germania, che inviò alcune divisioni.

  1. ^ Salandra lasciò soprattutto perché fallì il disegno di politica interna da lui concepito al momento dell'intervento; una guerra breve e facile si tramutò in una guerra lunga e difficile, che finì per rendergli sempre più difficile l'esercizio del potere, e a giugno non riuscì a superare la «tempesta suscitata dalla Strafexpedition». Per ulteriori approfondimenti vedi: Melograni, da p. 168 a p. 179
  2. ^ Sull'altipiano di Asiago si era già assistito allo sfascio di interi reparti, a episodi quali l'uccisione di ufficiali da parte di truppe esasperate o il rifiuto dei soldati di insistere in attacchi velleitari (Cadorna, nelle sue lettere, chiamò queste rivolte "fatti deplorevoli"), in alternanza ad atti di straordinario eroismo. Vedi: Sema, p. 208. La risposta, di Cadorna e degli alti ufficiali, fu quella delle fucilazioni sommarie, iniziate già entro la fine di maggio. A ogni modo avere fermato l'offensiva austroungarica sull'altopiano di Asiago, anche grazie al fondamentale apporto dell'offensiva russa in Galizia, che costrinse Conrad a distogliere truppe e materiali in gran quantità dal fronte italiano (vedi: Schindler, pp. 228-232), aveva risollevato in buona misura il morale sia delle truppe italiane sia dell'intera nazione; da questo punto di vista, perciò, nell'agosto 1916 la situazione non era sfavorevole. Dall'altro lato a metà 1916 il morale delle truppe austro-ungariche era ancora elevato. Vedi: Sema, p. 183.
  3. ^ In quello stesso 29 giugno il poeta Giuseppe Ungaretti, che si trovava nelle retrovie a Mariano del Friuli per un periodo di riposo, scrisse diverse poesie, tra cui Il porto sepolto e Dannazione. Ungaretti stesso si salvò dall'attacco coi gas in quanto due giorni prima di questo, il suo battaglione fu mandato nelle retrovie in riposo ed il poeta ebbe così salva la vita. Vedi: Tra le trincee del Carso, su youtube.com. URL consultato il 30 novembre 2022. e Sul Carso con Giuseppe Ungaretti (PDF), su grandeguerra.ccm.it. URL consultato il 30 luglio 2024.

Bibliografiche

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  1. ^ Schindler, 2007, cap.VIII.
  2. ^ a b Dizionario, p. 104.
  3. ^ a b Sondhaus, p. 238.
  4. ^ Dizionario, p. 105.
  5. ^ La richiesta di truppe e materiale era stata inoltrata a Svetozar Borojević von Bojna già il 3 marzo, prima della Quinta battaglia dell'Isonzo, vedi: Schindler, p. 225
  6. ^ Dizionario, p. 106.
  7. ^ Schindler, p. 225.
  8. ^ Melograni, p. 176.
  9. ^ Sema, p. 209.
  10. ^ Isnenghi-Rochat, p. 194.
  11. ^ Sema, p. 210.
  12. ^ a b c Sema, p. 212.
  13. ^ Cappellano-Di Martino, pp. 100-101.
  14. ^ Cappellano-Di Martino, pp. 102-103.
  15. ^ Cappellano-Di Martino, p. 105.
  16. ^ a b Schindler, p. 270.
  17. ^ Pieropan, p. 209.
  18. ^ Schindler, pp. 274-275.
  19. ^ Sondhaus, pp. 243-245.
  20. ^ Sondhaus, pp. 246-247.
  21. ^ Sondhaus, p. 247.
  22. ^ Sondhaus, p. 250.
  23. ^ Sema, p. 210.
  24. ^ Sema, pp. da 208 a 210.
  25. ^ Schindler, p. 274.
  26. ^ a b c Schindler, p. 266.
  27. ^ a b Sema, p. 209.
  28. ^ Cappellano-Di Martino, p. 117.
  29. ^ Cappellano-Di Martino, pp. 117-118 e 120.
  30. ^ Schindler, p. 269.
  31. ^ a b Pieropan, p. 210.
  32. ^ Thompson, pp. 184-186.
  33. ^ va ricordato che già dal novembre 1915 gli Italiani possedevano sul Sabotino una trincea in rialzo che dalla quota 513 scendeva lungo il costone, per quota 325 (detta dei “Massi Rocciosi”), a Poggio S. Valentino (Podsabotin) e continuava fino al fondo della Valle Piumizza
  34. ^ a b Consociazione Turistica Italiana – Sui Campi di Battaglia – Il Medio e Basso Isonzo – quinta edizione , 1939, Milano
  35. ^ Battaglie senza monumenti – Panowitz, San Marco e Vertojba. Itinerari sconosciuti in Slovenia alla riscoperta delle imprese degli arditi di Bassi, Nicola Persegati. Guide Gaspari. Aprile 2005
  36. ^ Bonetti e basso Vallone / Itinerario delle quote 208, su grandeguerra.ccm.it. URL consultato il 25 giugno 2010 (archiviato dall'url originale il 4 luglio 2007).

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